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La Filosofia del diritto di Gustav Radbruch è l’opera maggiore del filosofo del diritto tedesco più noto e influente del secolo scorso. Si può senz’altro affermare che essa, qui presentata per la prima volta in lingua italiana, nell’edizione del 1932, l’ultima da lui curata, costituisce insieme alla Dottrina pura del diritto di Kelsen e a Il concetto di diritto di Hart il trittico dei grandi classici della disciplina. Nella sua poliedricità, l’opera è peraltro in grado di suscitare interesse non solo nei filosofi del diritto, ma anche nei giuristi e negli uomini di cultura in generale. Innanzitutto, per lo stile elegante e icastico, esaltato dalla non comune inclinazione a riflettere sui problemi del diritto in costante dialogo con i giganti della filosofia (Seneca, Pascal, Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Windelband, Rickert, Weber), del pensiero religioso (Silesio, Lutero) e della letteratura (Dante, Shakespeare, Goethe¸ Schiller, Dostoevskij, Tolstoj). In secondo luogo, perché costituisce la base necessaria per comprendere la celeberrima “Formula di Radbruch”, che identifica nella giustizia la ratio essendi del diritto ed è stata utilizzata dai Tribunali tedeschi nel secondo dopoguerra e dopo la caduta del Muro di Berlino per giudicare le atrocità commesse sotto i regimi abbattuti. Infine, perché il relativismo virtuoso che ispira la Filosofia del diritto rivela una spiccata affinità con l’impronta neocostituzionalistica di numerosi ordinamenti contemporanei, tanto da conservare intatta ancora oggi la propria attualità.
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