(image source: EUM)
Foreword by Luca Scuccimarra:
Nell’orizzonte degli studi storici contemporanei è difficile trovare percorsi di ricerca e elaborazione riflessiva comparabili a quello che per più di trent’anni ha legato Diego Panizza alla «vicenda umana e intellettuale» di Alberico Gentili1. Dal momento del suo primo incontro con il grande giurista ginesino, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, Panizza ha dedicato infatti gran parte delle sue energie intellettuali ad un lavoro sempre più approfondito di scavo testuale e messa a punto interpretativa delle opere gentiliane che ha contribuito non poco alla progressiva riscoperta del ruolo spettante a questo autore nella complessa genealogia della modernità politica e giuridica. Si tratta, come è noto, di un percorso che ha trovato la sua principale collocazione istituzionale nel Centro Internazionale di Studi Gentiliani di San Ginesio, della cui attività Diego Panizza è stato a lungo il principale punto di riferimento scientifico e un’instancabile animatore. Anche grazie alla sapiente programmazione delle Giornate Gentiliane, organizzate dal Centro con cadenza biennale a partire dal 1983 e giunte quest’anno alla XXI edizione, tale percorso è venuto assumendo però nel corso del tempo un sempre più spiccato profilo internazionale, intersecandosi variamente con le esperienze di ricerca di alcuni dei principali studiosi che nel corso degli ultimi decenni, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, hanno contribuito attivamente alla rinascita degli studi sul pensiero di Alberico Gentili, sino a fare di quest’ultimo un vero e proprio autore di rilevanza globale: da Peter Haggenmacher a Alain Wijffels, da Benedict Kingsbury a Benjamin Straumann, per citarne soltanto alcuni. Nato dalla affettuosa sollecitudine di Pepe Ragoni, che del Centro Internazionale di Studi Gentiliani è stata per molti anni l’inesauribile motore organizzativo, questo volume si propone di rendere omaggio all’intenso itinerario di ricerca di Diego Panizza, mettendo a disposizione dei lettori italiani un’ampia silloge degli scritti e degli interventi da lui dedicati all’opera di Alberico Gentili in un arco temporale che dal 1969 giunge sino al 2014, anno della sua scomparsa. Operare una selezione non è stato agevole: come sa chiunque abbia una conoscenza minimamente approfondita di questa direttrice della sua produzione scientifica, il corpo a corpo storiografico di Panizza con il giurista ginesino è stato una sorta di perpetuum mobile, dei cui risultati egli ha dato conto momento dopo momento attraverso una molteplicità di contributi pubblicistici legati tra loro da un’indistricabile rete di riferimenti incrociati e sviluppi interni. Dovendo scegliere, si è deciso ovviamente di privilegiare i testi dai quali emerge con maggiore evidenza il contributo offerto da Panizza al rinnovamento degli studi in questo ambito, a cominciare dalla monografia Alberico Gentili, Giurista ideologo nell’Inghilterra elisabettiana, pubblicata da un piccolo editore padovano nel lontano 1981 e oggi considerata come un passaggio cruciale di quella Gentili Renaissance che si sarebbe sviluppata con una certa continuità nel corso dei successivi decenni. Come emerge dai contributi raccolti nella prima sezione di questo volume, il testo del 1981 ha rappresentato peraltro nell’itinerario scientifico di Diego Panizza il momentaneo (e del tutto provvisorio) punto di arrivo di un processo di progressivo avvicinamento al nucleo portante della produzione gentiliana iniziato almeno una decina di anni prima e portato avanti eminentemente con gli strumenti di lavoro all’epoca disponibili nella cassetta degli attrezzi dello storico del pensiero politico. Non è un caso, da questo punto di vista, che il punto di attacco da lui prescelto per le sue prime esplorazioni dell’universo dottrinario di Gentili coincida proprio con la discussione della possibile influenza esercitata sul metodo giuridico gentiliano dalla teorizzazione di Machiavelli, in quel momento più che mai al centro degli interessi degli storici del pensiero politico, in Italia e non solo. L’idea stessa di poter applicare ad uno dei padri del moderno diritto delle genti categorie e metodi di analisi tradizionalmente propri della storia delle dottrine politiche testimonia, peraltro, della visione dinamica e libera da obsoleti steccati disciplinari che Panizza ha sempre avuto del suo mestiere di storico. Non è un caso, da questo punto di vista, che nella monografia del 1981 egli abbia scelto di porre al centro dell’indagine la figura a tutto tondo del Gentili «ideologo» dell’Inghilterra elisabettiana, proponendosi dichiaratamente di approfondire l’opera di questo pensatore nella sua «totalità», indagandone la genesi e i vari livelli di significato secondo una prospettiva «più pienamente storica»: «con preciso riferimento cioè al contesto politico, religioso e culturale in cui l’autore si trovò a operare»2. Non si tratta, in verità, dell’unico elemento metodologicamente innovativo presente nell’approccio storiografico di Diego Panizza fin dalla primissima fase del suo itinerario di ricerca. Al contrario, come lui stesso ha avuto modo di sottolineare nel saggio che fa da introduzione a questo volume3, il suo rapporto con le fonti gentiliane è stato mediato fin dall’inizio da un’attenta (e personale) rimeditazione di alcune delle più interessanti linee di «rivolgimento» metodologico impostesi nel campo degli studi storici a partire dagli anni Sessanta del Novecento, con particolare riferimento a quella influente forma di «contestualismo linguistico» resa celebre dagli scritti dei principali esponenti della cosiddetta Cambridge School of Intellectual History: Quentin Skinner, John G.A. Pocock e John Dunn4. Al di là di ogni altra considerazione, è a questo gruppo di autori che secondo Panizza va riconosciuto infatti il merito di aver contribuito «a rendere centrale l’imperativo della “comprensione” storica dei testi», nel rispetto dell’«alterità» dell’interprete e della incolmabile distanza che separa presente e passato. Un assunto, questo, senza il quale «si cade necessariamente nel proiezionismo e quindi in ogni sorta di assurdità storiografiche»5. È appunto l’intento di restituire al «discorso» gentiliano la sua originaria specificità storica, ripulendolo dalle molte incrostazioni prodotte nel corso dei secoli dal conflitto delle interpretazioni, che ha guidato Panizza nel suo confronto a tutto campo con i testi, editi e inediti, del grande giurista cinquecentesco. E al centro della sua indagine si è posta fin dall’inizio l’esigenza di comprendere il concreto ruolo rifondativo giocato dal nascente linguaggio – solo in apparenza settoriale – del moderno Ius naturae et gentium nel polarizzato spazio di esperienza prodotto in Europa dalla fine dell’unità religiosa e dall’avvento di quella concezione secolare della politica che proprio nella urticante riflessione di Machiavelli aveva trovato la sua prima compiuta messa a punto teorica. Un problema, questo, che nella monografia del 1981 – e nei numerosi saggi che ad essa fanno corona – troviamo affrontato nella specifica variante “di contesto” da esso assunta nell’Inghilterra di Gentili, quella cioè originata dal rapporto apertamente competitivo instauratosi tra «giurisprudenza» e «teologia» come cornici regolative della società inglese dell’epoca e dalla «rivendicazione alla prima del primato nella funzione di legittimazione dell’ordine politico», ma che nello sviluppo del percorso storiografico di Panizza sarebbe stato ben presto indagato nei suoi più generali tratti epocali, a partire dal confronto con le due contrapposte «visioni d’ordine» prodotte in Europa dal confronto con i tumultuosi processi di trasformazione politica e sociale in atto a partire dall’inizio del Cinquecento: da un lato il paradigma «teologico neo-scolastico» messo a punto da Francisco de Vitoria e dagli esponenti della Scuola di Salamanca in risposta ai dilemmi della Conquista e dall’altro quello «giuristico-umanistico», nato nel grande laboratorio dell’umanesimo civile europeo e destinato a trovare proprio nella teorizzazione di Gentili una seminale messa a punto categoriale e dottrinaria6. Come emerge con una certa evidenza nei saggi raccolti nella seconda sezione di questo volume, a spingere Panizza verso un sempre più deciso allargamento di prospettiva è stata però anche l’esigenza di confrontarsi con le nuove e più complesse linee di ricerca sulla storia del moderno pensiero internazionalistico emerse a cavallo dei due secoli per effetto dell’alluvionale dibattito sul nuovo ordine politico e giuridico dell’«epoca globale». È anche in forza dell’intenso (e in alcuni casi anche ruvido) confronto intellettuale con le innovative interpretazioni della vicenda storica del moderno ius gentium proposte da autori del calibro di Richard Tuck, Anthony Pagden o Martti Koskenniemi che il Gentili di Panizza ha potuto trasformarsi, infatti, dal «giurista ideologo» dell’Inghilterra elisabettiana in uno dei grandi apripista del pensiero della «modernità-mondo», contribuendo ad alimentare quel processo globale di riscoperta dei testi gentiliani sviluppatosi nel corso degli ultimi anni con modalità davvero sorprendenti, come dimostra l’edizione critica del De armis romanis pubblicata in inglese da Benedict Kingsbury e Benjamin Straumann7. L’ultima sezione di questo volume è stata pensata, appunto, per dare piena evidenza ai risultati originali e oltremodo stimolanti raggiunti dalla ricerca di Diego Panizza nel periodo di più intensa riflessione sulle grandi questioni fondative portate al centro del dibattito dal cosiddetto spatial turn delle scienze umane contemporanee. E le parole-chiave sotto le quali si è ritenuto opportuno collocare gli studi gentiliani di questo periodo sono, non a caso, cosmopolitismo ed impero: perché, a ben vedere, è proprio in una originalissima commistione di universalismo morale e realismo politico che nella sua piena maturità di interprete egli ha ritenuto di poter individuare il contributo più rilevante offerto da Gentili al grande laboratorio della modernità politica, la autentica, unitaria cifra costruttiva di una riflessione apparentemente scissa tra aspetti diversi e contrastanti del sapere della sua epoca. Di questo aporetico sforzo rifondativo ci parla, a ben vedere, anche la concezione gentiliana del diritto di guerra, nella sua insuperabile tensione tra la dimensione dell’utile e quella dell’honestum. Ed è proprio in forza della sua irriducibile complessità che a distanza di molti secoli il pensiero giuridico di Gentili continua a sfidare la comprensione degli interpreti, proponendosi, proprio nella sua insuperabile distanza storica, come un prezioso punto di rifrazione degli irrisolti dilemmi del nostro tempo, come dimostra la lettura davvero a tutto campo offertane da Diego Panizza nei contributi raccolti in questo volume.
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